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Realtà contadina
Fino alla fine degli anni Sessanta la frazione ha vissuto una realtà contadina basata sulla piccola proprietà, solo alcune famiglie avevano molto terreno (“i particular”). Il lavoro della terra, unica fonte di reddito della maggior parte degli abitanti, era coadiuvato da buoi e da cavalli.
I periodi dei grandi raccolti, della mietitura, della vendemmia, della fienagione, della raccolta del mais rappresentavano anche momenti di grande aggregazione e di festa: la forte necessità di manodopera di quei momenti e la scarsa disponibilità economica facevano sì che le famiglie si aiutassero di buon grado a vicenda. |
La mietitura a Villa Morbelli - 1948
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"Amson" (Mietitura)
La trebbiatura
La trebbiatura vedeva tutte le famiglie impegnate per parecchi giorni l'una in aiuto dell'altra. La trebbiatrice cominciava il proprio lavoro dalla prima cascina e, giorno dopo giorno, si spostava di casa in casa; naturalmente tutti svolgevano un ruolo intorno alla macchina. La sera, infine, gli uomini discutevano della qualità e della quantità del grano: “quello era migliore, ma questo era più abbondante ...”, “se non avesse grandinato ...”. Poi la trebbiatrice se ne andava, lasciando granai più o meno pieni, fienili colmi di paglia e tanta polvere.
la fienagione
la trebbiatura
La raccolta delle fave
La coltivazione delle fave forniva, insieme al fieno, cibo per il bestiame nella stagione invernale e, nel contempo, arricchiva i terreni di elementi organici .
le fave
Dopo la raccolta, a fine giugno, nei cortili veniva completata
l'essiccazione, a cui seguiva la battitura coadiuvata da
attrezzi specifici: al tresc, per esempio,
era uno strumento costituito da due bastoni uniti da una
lista di cuoio; esso veniva utilizzato impugnando uno dei
due bastoni e facendo ruotare l'altro che percuoteva i baccelli
ancora chiusi e attaccati alla pianta, affinché ne
liberassero i semi. Al termine della battitura con il val
si ripulivano i semi dai residui dei baccelli.
La vendemmia e il mais
Già a settembre gli uomini iniziavano a riordinare le cantine, a lavare le botti, i tini e le bigonce, queste ultime venivano caricate sui carretti e saldamente legate. Si preparavano le forbici, le latte, le scale, la brenta e tutto il necessario. Si scrutava il cielo sperando nel sole, poi una mattina si partiva. I versanti delle colline si animavano di gente, parenti e amici venivano tutti coinvolti, infatti solo alcune grandi cascine si potevano permettere di reclutare mano d'opera a pagamento. Squadre di vendemmiatrici intonavano canti, a cui rispondevano altre squadre dall'altro versante.
Vendemmia sul "bric"
Dopo la vendemmia nei cortili arrivava il mais raccolto:
i carri scaricavano cumuli di pannocchie e la sera tutti
si ritrovavano in un cortile a snuvia la meglia
(spannocchiare il mais). Seduti sui cumuli, cantando e chiacchierando,
si sfogliavano le pannocchie che venivano gettate presso
il muro della casa, dove sarebbero rimaste per un po' ad
essiccare; lo scarto, costituito dalle foglie, formava invece
in un angolo grandi e soffici mucchi, nei quali i bambini
si sarebbero tuffati per tutta la sera. E il giorno dopo
tutti in un altro cortile.
La meccanizzazione agricola diffusa arriverà negli anni Sessanta: gli antichi carri verranno abbandonati e rimarranno muti testimoni di tante fatiche.
L'estrazione della Pietra da Cantoni dalle cave
(vedi
foto storiche dei cavatori della Colma)
La collina della Colma ha nel sottosuolo la
"Pietra da Cantoni",
genericamente (e impropriamente) chiamata tufo: si tratta di una marna arenacea
o di un'arenaria fine a matrice marnosa, tenera e friabile.
Le origini risalgono a 15-20 milioni di anni fa e la sua formazione deriva dai sedimenti depositati sui bassi fondali marini che occupavano il Monferrato: non è difficile infatti trovare fossili di conchiglie o denti nei blocchi di tufo utilizzati nella costruzione delle case.
Molte cave furono aperte, al loro interno lo strato di tufo aveva uno spessore di circa dieci metri e seguiva il profilo della collina; esse per secoli hanno fornito materiale da costruzione.
Le cave erano formate da gallerie larghe 5
m, con un'altezza di 5 m. Dalla galleria principale partivano,
perpendicolarmente, tunnel di accesso ad altre gallerie che, a
loro volta, erano parallele alla prima.
Carriole per le Cave
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Le campate
delle gallerie erano ampie 5 m e tra uno scavo
e l'altro rimaneva una zona di pieno larga anch'essa 5 m: ciò al fine di garantire la sicurezza evitando
crolli. Molti scavi, dopo l'estrazione del tufo, venivano
riempiti nuovamente con i materiali di risulta della lavorazione
di squadratura dei blocchi. Le dimensioni dei blocchi di
tufo squadrati, detti appunto in dialetto
"canton”,
erano di 50 cm per 25 cm per 15 cm, con un peso di 32 Kg circa ed
erano utilizzati per la costruzione di case e fabbricati rurali. |
Diverse invece le dimensioni delle
pianelle ("pianeli"), più larghe e alte di
molto ma più sottili, con un peso di 45 Kg circa,
utilizzate per la costruzione di forni. Alcune cave sono
ancora visibili, sebbene ormai abbandonate da più
di mezzo secolo.
Molti erano i cavatori di mestiere, ma molti erano anche gli stagionali che, per sopperire ai magri bilanci, lavoravano nelle cave di tufo per l'estrazione della
“Pietra da
Cantoni”. Al già duro lavoro della terra si aggiungeva quindi questa ancor più dura attività e, una volta estratti e accatastati, i
"canton" venivano trasportati con carri trainati da cavalli.
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Cavatori |
Cave, più o meno importanti, erano gestite
dalle famiglie Angelino, Campagnola
e Valleggia. Un'interessante mostra sui “Graffiti” dei
"canton" era stata curata, nel novembre 2000 per l'Ecomuseo
della Pietra da Cantoni di Cella Monte, dal dottor Carlo Aletto;
Le Cave - Interno
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all'evento aveva fatto seguito un suo volume (Graffiti. Iscrizioni e figurazioni sulla Pietra da
Cantoni , edito nel 2004) che ha ampliato i contenuti della mostra. È inoltre in progetto la riapertura di una cava per l'estrazione di questa arenaria, al fine di permettere un adeguato e rispettoso restauro della vecchie case costruite con questo materiale.
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